Ennio Mattarelli si racconta alla Gazzetta dello Sport

C’ è una cosa che mi dà fastidio: troppe persone associano le armi alla violenza. Penso sia sbagliato credere che chi ha in mano un fucile, magari a pallini, pronto a tirare a breve distanza, debba necessariamente ferire qualcuno o addirittura ammazzare. In tanti anni di attività, in cui ho girato il mondo, non ho mai visto nessuno puntare  un’arma su un altro uomo. Per quanto riguarda la caccia, invece, la pratico ormai solo in Africa, secondo regole precise che non mettono in pericolo nessuna specie. E la carne delle mie prede la distribuisco alle famiglie del posto, niente va sprecato. In Italia, ormai, passo il tempo a pensare al momento in cui tornerò nella “mia” Africa”.

Inizia così la nostra chiacchierata con Ennio Mattarelli, uno che di armi se ne intende. Il campione bolognese, appassionato di caccia, rimasto orfano a soli 5 anni (quando parla di nonno Silvio, che lo ha cresciuto, si commuove come un bimbo): a 14 già lavorava. E a 26, impiegato in una società elettrica, cominciò a sparare al piattello.

“Se vincevi – racconta – ti davano salami o prosciutti”. Ennio ha dedicato la vita al tiro: la sua specialità era la fossa olimpica (trap). Nel 1964, quando vendeva cartucce per una fabbrica d’ armi, il principale lo convinse a partecipare all’Olimpiade: “Fu l’ unico anno – ricorda – in cui ebbi tempo per allenarmi. Vinsi 7 gare internazionali su 10, più 2 secondi e un terzo posto e l’oro ai Giochi di Tokyo (che gli valse il titolo di “cavaliere”), col record di 198/200, battuto poi da Scalzone”.

Troppo modesto per raccontare che il giorno prima, nelle tre serie, non sbagliò un solo piattello. “Però rammento pure il primo titolo mondiale conquistato nel 1961, a Oslo. Una gara di 3 giorni con un tempo davvero bestiale”.

L idolo dei poligoni, che nel 1969 si aggiudicò i suoi ultimi Mondiali, lasciò dopo quelli di Melbourne 1973, dove, senza la falange dell’ indice della mano sinistra, persa sul lavoro mentre tarava una carabina a palla, conquistò il bronzo. Ha lavorato a lungo, infatti, nel settore delle armi, ha scritto per riviste specializzate, da Seul a Barcellona è stato commissario tecnico azzurro, prima di aprire, una decina d’ anni fa, un’ azienda, dove lavora anche la figlia Monica. Produce macchine lancia-piattelli fatte con la molla a balestra: le stesse usate ai Giochi di Atlanta e di Sydney 2000. “So per esperienza – spiega – che non è sempre possibile trovare sui campi di tiro un ingegnere elettronico. Così ho costruito delle macchine tecnicamente semplici, facili da maneggiare anche per elettricisti o per meccanici”. Poi, con rammarico, racconta: “Vivo a Bologna con la mia famiglia e tre cani. Tempo fa la mia casa è stata svaligiata e i ladri si sono portati via anche l’ oro di Tokyo. I miei cani non sono serviti: i pastori tedeschi si sono fatti abbindolare da un salame (ho trovato tracce della carta in giardino) mentre il povero maremmano deve aver preso un sacco di botte”

Articolo a cura di Rosanna Schirer

 

Recent Posts